Segni di Folklore nel micromondo di San Gaetano
llustratrice e artista visiva, Cecilia Sammarco intreccia nei suoi lavori corpo, rito e immaginario popolare. Le sue figure, sospese tra mito e quotidiano, nascono da un gesto manuale che unisce delicatezza e forza, disegnando una costellazione di simboli legati alla cura, alla festa e alla memoria.
Nata a Cosenza e oggi attiva a Roma, Cecilia è tornata nella sua città per la prima volta come artista invitata all’interno di Cosmo – Cosenza Micromondi, per realizzare Segni di Folklore: un progetto che rilegge la devozione e la cultura visiva del Sud come pratiche vive e collettive.
Dal 7 al 12 aprile, il quartiere San Gaetano – Massa ha ospitato la sua residenza artistica, parte del Laboratorio Sperimentale Permanente. Un processo lento, fatto di attraversamenti, ascolti e incontri quotidiani, che ha preso forma nella piazza accanto alla Chiesa di San Gaetano e si è tradotto in un lavoro sul rapporto tra arte, rito e vita quotidiana.


Perché proprio Santa Rita
Santa Rita è venerata nella parrocchia di San Gaetano sin dal 1600. Negli ultimi anni, la sua figura è tornata al centro di una pratica collettiva molto riconoscibile: l’infiorata, nata spontaneamente nel 2017 grazie all’iniziativa di alcune persone del quartiere che hanno iniziato a decorare la strada con fiori raccolti nei campi e nei giardini della zona.
Un gesto semplice, che negli anni è cresciuto fino a diventare un appuntamento atteso e condiviso. Oggi l’infiorata di Santa Rita è una delle poche pratiche collettive ancora vive a San Gaetano: coinvolge abitanti di ogni età, attiva relazioni, tramanda saperi manuali e costruisce appartenenza.
Scegliere di lavorare su questa figura ha significato, per Cecilia, riconoscere e sostenere un’esperienza già esistente — un gesto nato dal basso, appartenente alla storia del quartiere e alla sua capacità di attivarsi a partire da ciò che possiede.

Il progetto Segni di Folklore si è concretizzato in un’opera pittorica site-specific su due serrande di Piazza Tommaso Ortale, ispirata alla figura di Santa Rita e riscritta attraverso il linguaggio della devozione popolare.
Nella prima serranda, il volto di Rita – senza spina sanguinante e con occhiali pop a forma di rosa – diventa protagonista dello spazio della rappresentazione.
Incoronato da un Retablo peruviano, il ritratto richiama i legami tra religione e tradizione popolare. Il retablo, inserito nel prospetto del palazzo, evoca un piccolo teatro di marionette che si apre verso la comunità, trasformando la facciata in scena.
Attorno al volto si dispongono simboli che intrecciano riferimenti alla vita personale di Rita, all’universo femminile e ai primi tatuaggi cristiani: un lessico visivo che unisce intimità e mito.
La seconda serranda propone invece un nuovo Eden, dove l’apparato simbolico religioso si trasforma per accogliere nuovi significati. Le armi vengono aggredite dai fiori: un mondo di pace e di accoglienza, in cui la devozione diventa linguaggio di cura.
La mano, gesto gentile e potente al tempo stesso, rappresenta la capacità di trasformare e proteggere il mondo. La frase dipinta accanto all’immagine si ispira a un testo dell’artista Judy Chicago, evocando l’idea di un mondo in cui si possa essere, insieme, figlia, madre, moglie, suora, santa.
La restituzione pubblica
Il 12 aprile la residenza si è conclusa con una serata conviviale che ha popolato la piazza e chiuso il ciclo in un clima di festa condivisa.
Il pane di Criscia, modellato come le rose del murale, è stato servito con i salumi e i formaggi della Salumeria Occhiuto e i vini naturali di Tenuta del Travale.
Ogni tagliere era pensato come un’estensione dell’opera: accompagnato da una tovaglietta serigrafata con i segni del murale, una zine che raccontava il processo creativo e un piccolo santino in stile retablo.
Il dj-set di Eegeno ha chiuso la serata, intrecciando suoni e immagini in un unico gesto corale.
Una traccia nel quartiere
L’intervento di Cecilia Sammarco ha lasciato nel quartiere una traccia discreta ma intensa: segni di folklore che uniscono gesto, spiritualità e vita quotidiana.
Un lavoro che non rappresenta semplicemente la comunità, ma la attraversa — restituendo al centro storico di Cosenza il senso di un rito condiviso, in cui arte e partecipazione coincidono.